Coppia di pistole da fonda



Armaiolo Italiano

Brescia ultimo quarto del XVI secolo

Materiale: Ferro e legno di noce

Misure: Lunghezza 50 cm

scheda critica a cura di gherardo turchi

Coppia di superbe pistole da fonda con meccanismi a ruota esterna, realizzate a in quelle officine di mastri armaioli attive a Brescia nell’ultimo quarto del XVI secolo.

La Pistola a ruota fu la prima arma da fuoco portatile ad impiegare l’acciarino, in sostituzione della miccia, per comunicare il fuoco alla carica. Venne appositamente sviluppata per le forze di cavalleria pesante nelle terre gravitanti intorno al Sacro Romano Impero Germanico quali Germania, Italia e Borgogna, nei primordi del XVI secolo. La pistola azionata da acciarino a ruota fu, di fatto, il primo modello di pistola mai realizzato. Rispetto alle odierne armi da fuoco portatili era un oggetto decisamente ingombrante, fino a 50 cm di lunghezza complessiva, e dalle munizioni pesanti.

Il meccanismo d’accensione era costituito da un tamburello d’acciaio munito di una molla a spirale interna che si tendeva per mezzo di una chiave. Il tamburello era sostenuto da due colonnine e trattenuto da un dente che il grilletto faceva scattare; una volta liberato dal dente, il tamburello girava rapidamente su sé stesso, fregando la Pirite, tenuta ferma da un cane, abbassato in mezzo allo scodellino o bacinetto. Lo strofinio dava luogo a scintille che accendevano la polvere nello scodellino e questa, attraverso il focone, dava fuoco a sua volta alla carica principale nella canna.

L’invenzione dell’acciarino a ruota e, conseguentemente, la sua applicazione alle armi da fuoco portatili non è databile ad un anno ben preciso del primo ventennio del XVI secolo, ciò è dovuto sostanzialmente da un conflitto tra tre diverse fonti: la presenza di uno schizzo raffigurante un acciarino a ruota nel Codice Atlantico di Leonardo da Vinci; due bandi emessi dal duca Alfonso I d’Este, l’uno in data 1513 e l’altro in data 1522, proibenti l’uso di archibugi “non a miccia” alle forze di fanteria ducali; l’attribuzione, ad un orologiaio di Norimberga dell’invenzione del primo acciarino nel 1517. Prescindendo dalla data esatta d’invenzione del meccanismo d’accensione, le pistole a ruota erano ben diffuse tra le forze di cavalleria pesante di un po’ tutta Europa entro la seconda metà del Cinquecento.

Il successo delle pistole a ruota spinse gli armaioli europei ad utilizzarne il meccanismo d’accensione anche per gli archibugi. I costi eccessivamente alti non permisero però mai la massiccia produzione dei nuovi archibugi a ruota. Le pistole a ruota convissero così con i vecchi archibugi a miccia fino a che l’introduzione dell’acciarino a pietra e a martellina non sostituì entrambi i precedenti meccanismi d’innesco alla fine del XVII secolo.

Nella produzione di armi a ruota la città di Brescia ricoprì un ruolo di primaria importanza divenendo, di fatto, l’unica città italiana in cui si produssero questo tipo di armi. Proprio alla produzione Bresciana, come detto, si deve la realizzazione della coppia di pistole in esame. Con canne ottagonali con ghiera alla culatta, firmate “Lazari Cominaz” fra punti trilobati, le armi hanno montate piastre a ruota esterna con briglie circolari finemente lavorate a riccioli. I cani risultano magistralmente scolpiti a balaustro, impreziositi sul collo da foglie d’acanto, mentre i fornimenti, in ferro traforato, presentano cherubini realizzati nella parte centrale. I ponticelli sono riccamente decorati a merletto e presentano una particolare scantonatura, come pure le ghiere apposte sui calci sono decorate a filetti con terminali traforati a fogliami. Le pistole riportano inoltre le loro bacchette originali, come pure risultano ancora montati i ganci da cintura sul retro. L’interno delle batterie riporta inciso il marchio “G.F.R.”, del quale è possibile trovare più ampia spiegazione alla pagina 68 del libro “The Brescian firearms” di Nolfo di Carpegna.

Armi simili di confronto sono pubblicate sul libro “Armi da fuoco italiane” di Gaibi alla figura 83 e sul libro “Armi antiche” di Morin alla scheda 135.

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