Bottega Patanazzi



Bottega Patanazzi

Urbino XVI secolo

Materiale: Maiolica decorata a gran fuoco

Misure: 12 x 12 x 10 cm

scheda critica a cura di gherardo turchi

Importante saliera in maiolica decorata a gran fuoco proveniente dalla bottega di Antonio Patanazzi, attivo ad Urbino nel corso della seconda metà del XVI secolo.

Urbino fu un grande centro della maiolica rinascimentale, grazie al patronato dei Duchi Della Rovere, in omaggio al cui nome assunse particolare importanza la decorazione “a cerquate”, basata sul motivo della quercia.

L’importanza di Urbino come città ceramica inizia nei primi del ‘500, con una serie di anonimi maestri. Essi si specializzarono nella decorazione “a grottesche”, festoni, “a trofei”, mascheroni, “a raffaellesche”, derivate dalle “raffaellesche” delle Logge Vaticane. Ma sarà dopo il 1520 che si sancirà la fama e la fortuna delle botteghe urbinati, soprattutto con il loro stile “istoriato”, generato sulla spinta del “raffaellismo” e trasfuso in generale sulle arti applicate attraverso la mediazione delle stampe diffusive delle opere di Raffaello.  Sulle superfici dei vasellami, che ora sono animati da manici plastici a serpente, versatoi a teste di chimera o di fauno, modellati sui contemporanei esempi in bronzo o in metalli pregiati, si vedono dipinte “istorie” di netta ispirazione raffaellesca. Nel genere “istoriato” si cimentarono grandi pittori-maiolicari come Nicola di Gabriele Sbraghe che si firmava “Nicola da Urbino”, Francesco Xanto Avelli da Rovigo, attivo in Urbino dal 1530 circa, Guido Durantino e i Fontana, ed infine la bottega tardorinascimentale dei Patanazzi, attiva sino al terzo decennio del ‘600, che accentuarono il gusto dei modi ultraornati dell’ istoriato” e della “raffaellesca” in forme modellate a tutto tondo, già con impronta barocca.

L’opera di Antonio Patanazzi rappresenta, per la maiolica rinascimentale, un’autentica zona d’ombra: è infatti praticamente sconosciuta. Antonio disponeva di una propria bottega già nel 1540, ma solo nel 1580 compaiono opere a lui riconducibili in quanto contrassegnate col suo nome. La documentazione lo associa quasi sempre ai Fontana.  Nel 1553 e nel 1560 Antonio fa da garante, assieme a Guido e Orazio, su questioni riguardanti i figli di Nicola Sbraghe. E’ anche molto probabile che sia lui quell’Antonio da Urbino vasaio che, nel   1562, è menzionato in un documento di pagamento della tesoreria reale di Torino per il rimborso di un viaggio a Urbino e successivo ritorno presso sua Altezza Emanuele Filiberto. La contiguità fra Orazio e Antonio è confermata da un documento successivo alla morte di Orazio, avvenuta nel 1571. Quando, nel maggio 1578, ottemperando alla volontà paterna, sua figlia Virginia restituisce alla madre la dote, risulta che vi era compresa una certa quantità di vasellame, parte del quale decorato a istoriato e a grottesche, che si trovava depositata presso il maestro Antonio Patanazzi. Questi dunque conservava nel proprio magazzino del vasellame di proprietà di Orazio. Alla morte di Orazio l’attività della sua bottega sembra proseguire col nipote Flaminio, che già nel 1564 aveva fornito assieme allo zio vasellame al Granduca di Firenze. Antonio morì il 24 maggio 1587.

L’opera in esame si riferisce al periodo in cui Antonio lavora in bottega affiancando i figli, periodo in cui realizza un ampio servito attribuitogli dalla critica mondiale, del quale farebbe parte anche una seconda saliera, di forma rettangolare passata sul mercato antiquario nel 2004.

Il corpo quadrato, entro cui si trova la vaschetta ornata da un “istoriato” raffigurante Cupido, unitamente alla decorazione a raffaellesche lungo tutta la superficie, collocano la produzione della stessa intorno al 1579. La presenza poi delle zampe leonine, insieme agli angoli a forma di figure femminili alate, avvalorerebbe ulteriormente la paternità del Patanazzi, essendo tali motivi decorativi particolarmente cari alla produzione del Maestro.

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