Placche di pietre dure



Botteghe fiorentine

Firenze, XVIII secolo

Materiale: Marmi e pietra di Paragone

Misure: 71 x 49 cm

SCHEDA CRITICA A CURA DELLA DOTT.SA LORENZA DI BARTOLOMEO

Elegante e pregiata coppia di pannelli di forma rettangolare in marmo nero del Belgio finemente decorata con motivi fiorati e fruttati a rilievo realizzati in pietre dure policrome. Tali esemplari, data l’eccellente qualità e finezza di fattura, furono prodotti molto probabilmente dagli abili ed esperti artigiani delle botteghe granducali fiorentine durante il XVIII secolo.

Al fine di stupire e mostrare agli altri Stati la loro magnificenza, furono i Medici, grandi mecenati e collezionisti e successivamente i Lorena, i primi a promuovere la realizzazione di altorilievi come questi in analisi o mobili impreziositi da pannelli di commessi di pietre dure: allo scopo vennero creati stipi, tavoli, consolles sui cui piani si sviluppavano grandi composizioni decorative, delle vere e proprie “pitture di pietra”, degli autentici capolavori. Simili arredi, per la loro bellezza, per la rarità e preziosità dei materiali, per la ricchezza dei colori erano destinati a decorare gli appartamenti più nobili e ricchi rispondendo in pieno al desiderio di ostentazione e di fasto dei principi e degli alti personaggi di tutta l’Europa dell’epoca.

A Firenze fu attiva fin dal 1588 la Galleria dei Lavori, ovvero la prestigiosa ed esclusiva manifattura di Corte, istituita dal terzo Granduca di Toscana, Ferdinando I de’ Medici, e dedicata alla creazione di aulici arredi, in particolare alla lavorazione delle pietre dure, primo caso in Europa di manifattura artistica al servizio di una dinastia regnante. Per secoli la Galleria detenne il monopolio nei lavori sia di rilievo che di commesso e intarsio, in prevalenza realizzati in pietre dure e riservati esclusivamente alla corte granducale. Nella seconda metà del XVI secolo e agli inizi del XVII i laboratori romani e fiorentini privilegiarono commessi a motivi geometrici ispirati dall’Opus sectile antico, ma sotto l’influenza del gusto di Ferdinando I de’ Medici questi motivi cedettero il posto a elementi decorativi figurativi, in particolare uccelli, fiori, frutta, che ben si prestavano a sontuosi effetti policromi. In seguito alla morte di Ferdinando I, succedette sul trono del Granducato di Toscana suo figlio Cosimo II, e sotto di lui tra il 1609 e il 1621, Jacopo Ligozzi, raffinato pittore di soggetti botanici e zoologici, fornì alla Galleria dei Lavori modelli naturalistici ed esotici come gli uccelli del paradiso e i pappagalli, gli stessi che si potevano ammirare nelle voliere del giardino granducale di Boboli. I soggetti naturalistici si susseguirono pressoché invariati per parecchi decenni. Successivamente, risulta dai documenti che nel 1732 iniziò a lavorare, prendendone poi la direzione, l’orafo e incisore francese Louis Siries qualificato in Francia come orfèvre du roi (gioielliere del re). Ai motivi naturalisti si affiancarono anche soggetti di altro genere. La sua politica artistica, unita a quella del figlio e del nipote che gli succedettero alla guida della manifattura, mirò ad un’efficace collaborazione con i maggiori artisti attivi all’epoca a Firenze, le cui creazioni in pietre dure furono spesso all’avanguardia del gusto decorativo europeo. Nel 1737, dopo la morte di Gian Gastone, l’ultimo dei Medici, con l’arrivo dei nuovi Granduchi Asburgo-Lorena e sotto la guida dei Siries che diressero la Galleria dei Lavori fino ai primi dell’800, vennero preferiti i paesaggi e le scene di genere, su modelli del pittore Giuseppe Zocchi, che collaborò dal 1750 al 1767 e di Antonio Cioci che collaborò dal 1750 al 1792. Inoltre, ci fu una novità, sul finire del XVIII secolo il Granduca Ferdinando III di Asburgo Lorena concesse alla manifattura di poter lavorare anche per committenze private, pur sempre illustri dato il costo di questi aulici lavori. Allora numerosi patrizi fiorentini e aristocratici forestieri si rivolsero per acquisti alla Galleria dei Lavori, che nel XIX secolo prenderà il nome ancora attuale di Opificio delle Pietre Dure.

Le placche in esame sono entrambe costituite da uno piano di marmo nero tagliato in forma rettangolare che funge da sfondo su cui si stagliano le composizioni naturalistiche che raffigurano, poggiato su una mensola, un vaso bianco con venature proprie della pietra dura impiegata da cui fuoriescono tralci floreali e frutti. Gli ornati dei due rettangoli si differenziano leggermente nel colore che cambia quasi impercettibilmente come ad indicare il tempo che passa, le stagioni che si susseguono, la maturazione ed il mutare dei frutti e delle piante a seconda del periodo. I marmi generalmente utilizzati in capolavori di questo tipo sono molteplici: dai diaspri bianchi e rossi, i verdi di Volterra, il Serpentino di Prato, il Diaspro tenero dell’Arno, il marmo Portasanta, il Giallo di Siena, il Bardiglio, il marmo Cipollino apuano, il Rosso di Francia, più chiaro e venato, il pregiato Rosso antico, dalla tonalità intensa con rare vene scure, ai lumachella come il Broccatello di Spagna (chiamati così perché si trovano spesso inclusioni di piccoli animali fossili) coniugati nelle varie tonalità che vanno dal giallo al rosa, dal rosso al grigio, al marmo verde antico maculato, a quello dorato giallo antico, all’alabastro, all’Albarese dell’Arno e poi il legno fossile o silicizzato, la madreperla per gli inserti luminosi, e l’immancabile marmo nero del Belgio detto anche “pietra di paragone” che faceva da splendido sfondo mettendo in risalto l’eclatante policromia delle pietre, come nel caso di queste due placche. E poi solitamente venivano impiegate le pietre dure e tenere policrome, ancora più preziose dei marmi: il calcedonio trasparente che, foderato da una lamina metallica colorata, rende gli oggetti più luminosi; il lapislazzulo, l’agata con striature di colorazioni diverse (bianco, marrone, blu, nero, verde, rosa), la corniola caratterizzata da un colore rosso-giallo arancio, il crisoprasio con una colorazione uniforme verde chiaro e poi l’onice opaco o semi-opaco, di colore uniforme che copre le tonalità rosso-bruno e l’intera gamma di grigi fino al nero, la giada verde scuro e il turchese. La coppia di pannelli qui presenti, sia per il tipo di pietre dure impiegate, ricorrenti nella tradizione storica degli intarsi e dei rilievi realizzati a Firenze, che per il gusto degli ornati, sono da riferire ad ambito fiorentino. Inoltre, un’ulteriore prova che dimostra questa tesi consisterebbe nella valorizzazione del fondo di marmo nero che è proprio dei modelli dei mosaici fiorentini, che lo predilessero nel ‘600 e ‘700. La preferenza per accordi cromatici delicati risponde al gusto neoclassico, come pure il disegno dei vasi bianchi da cui sbocciano fiori, ricorrente in affreschi e stucchi parietali del tempo. Entrambe le placche risultano adornate da due splendide ed assai rare cornici antiche in legno intagliato, dorato ed ebanizzato. Alla sobrietà tipicamente neoclassica dell’incorniciatura d’ebano di forma rettangolare, lineare ed elegante con quattro scanalature ai lati, si controbilancia il fasto degli angoli e dei lati arricchiti da trine, festoni, girali e racemi vegetali che oltre a richiamare i tratti dei capitelli corinzi caratteristici dell’arte neoclassica, sembrano avere come la funzione di prolungare sulla tridimensionalità del legno, lo stesso soggetto già proposto in rilievo sul marmo per estenderlo al di fuori del “quadro”.

Infatti, capolavori del genere potrebbero definirsi proprio “quadri di pietra”. La cosa più stupefacente in queste opere d’arte è la capacità non solo di creare una “pittura in pietra” in grado di superare il modello pittorico con la straordinaria precisione del taglio delle pietre, ma anche di sfruttare al massimo la tonalità e la varietà delle pietre stesse. I marmi policromi e le pietre dure rappresentano i segni di quella che è stata la magnificenza dei regnanti in una meraviglia artistica tutta italiana prodotta tra il XVI e il XVIII secolo. Queste opere di straordinario valore, dai mobili agli oggetti, arricchiscono oggi i musei più importanti del mondo testimoniando la genialità e la tecnica degli artigiani di quell’epoca. Non si può far a meno di citare come esempio il magnifico rilievo in mosaico di pietre dure con funzione di ex-voto di Cosimo II de’ Medici facente parte della collezione del Tesoro dei Granduchi e ad oggi conservato nel Museo degli Argenti di Palazzo Pitti. La coppia di pannelli si presenta in ottimo stato di conservazione.

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