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Maiolica scena biblica
Ceramista castellano
Castelli d’Abruzzo, del XVIII secolo
Materiale: Maiolica decorata a gran fuoco
Misure: 21 x 27 cm
scheda critica a cura di gherardo turchi
Antica e pregiata placca in maiolica risalente al XVII secolo e creata in una delle fiorenti e prestigiose botteghe ceramiste in provincia di Teramo (Abruzzo), più precisamente nella città di Castelli che rappresenta uno dei più illustri centri italiani per la produzione della maiolica. La maiolica risulta essere un tipo di produzione ceramica di vasellame caratterizzato da un corpo poroso rivestito, prevalentemente per immersione, di uno smalto stannifero (o tutt’al più piombico). Il nome deriva da quello dell’isola di Maiorca, uno dei centri più attivi in tale smercio nel Medioevo. All’estero invece è nota spesso come “faïence“, dalla città di Faenza, che per secoli ne fu tra i maggiori produttori europei. Fin dalla preistoria, in tutte le culture, l’uomo si servì di argilla impastata con acqua e fatta seccare al sole per fabbricare recipienti, utili soprattutto a contenere, trasportare e conservare la preziosissima acqua. L’uso della cottura a fuoco permise un miglioramento tecnico, con la scoperta della cosiddetta terracotta, più resistente. Tale materiale aveva però l’inconveniente di essere poroso e di lasciar trasudare i liquidi, per questo, sin dai tempi più remoti, l’uomo cercò di trovare il modo di rivestire la terracotta rendendola impermeabile, grazie a coperture argilloso-alcaline. Gli egizi furono i primi a scoprire la tecnica altamente efficace dell’invetriatura, tutt’oggi in uso, trasmettendola agli altri popoli del Mediterraneo e poi a tutto il mondo. Nel mondo greco nacque il termine “ceramica” (da κέραμος, kéramos, che significa “argilla”, “terra da vasaio”) e si diffuse un tipo di produzione molto raffinato, diverso però dall’invetriatura a smalto siliceo degli egizi. La ceramica islamica era ampiamente diffusa nelle classi sociali più elevate dell’Italia dei secoli XII e XIII, e uno dei porti più attivi in tale traffico commerciale, quello di Maiorca, diede il nome a questi prodotti. L’elevato costo di tali manufatti stimolò la nascita di produzioni locali che, ispirandosi ai prodotti orientali, si orientarono essenzialmente verso due tecniche: quella a vernice piombifera e quella a smalto stannifero. Quest’ultima è considerata la “maiolica” vera e propria, mentre la prima è denominata terracotta invetriata. La maiolica fiorì fino a tutto il XVII secolo, in seguito divenne sempre più una produzione di nicchia per intenditori o collezionisti praticata con fini per lo più decorativi. L’arte ceramica di Castelli, in Abruzzo, ha origini antichissime, ma è divenuta celebre nel Cinquecento. Furono la buona fattura delle maioliche, le decorazioni vivaci, ma anche l’economicità dei prodotti, dovuta a innovativi sistemi produttivi, che fecero di Castelli uno dei centri più apprezzati per quest’arte, soprattutto nel Seicento. Sebbene Castelli sia un piccolo centro della provincia di Teramo, il suo ruolo nella storia della maiolica italiana è di primissimo piano, specialmente nel periodo che va dal XVI al XVIII secolo. La chiesa cinquecentesca di San Donato a Castelli, definita da Carlo Levi “la Cappella Sistina della maiolica”, costituisce, assieme al coevo vasellame farmaceutico denominato Orsini-Colonna, il punto di partenza ideale di una produzione successiva che godette di grandissima fama, in Italia e all’estero; tanto che una delle raccolte più importanti di ceramiche di Castelli è oggi conservata al museo dell’Ermitage, a San Pietroburgo. Una tradizione, quella di Castelli, che risale all’inizio del Rinascimento, anche se si presume precedente, venne favorita dalle naturali caratteristiche del territorio: le cave locali di argilla, la legna di faggio in abbondanza e i giacimenti di minerali e di silice ed è divenuta famosa nel mondo per la qualità del design, ma soprattutto per la finezza della decorazione. Tra i maestri principali si annoverarono, in ordine temporale Antonio Lollo, i Grue e i Gentili. A Carlo Antonio Grue (1655-1723) si attribuisce lo stile che rese celebre la maiolica di Castelli. Le sue opere raffigurarono prevalentemente temi mitologici o gruppi di cavalieri armati. Fino agli inizi del XIX secolo varie generazioni di Grue si susseguirono ottenendo brillanti risultati. Il disegno è il punto di partenza della lavorazione. L’idea della forma e del decoro si concretizza su carta o altro supporto e diventa la guida sia per la creazione al tornio dell’oggetto sia per la pittura quando l’oggetto è smaltato e pronto per essere dipinto. Con la tecnica dello spolvero forato e battuto con il carboncino si riportano le linee guida del disegno sull’oggetto in argilla cotta a biscotto e poi smaltato. Il colore dello smalto o anche semplicemente dei decori su base bianca rende l’oggetto in ceramica mutevole ed originale. Successivamente l’artigiano foggia al tornio l’argilla che diventa oggetto seguendo un disegno con misure e proporzioni precise, una volta finito l’oggetto si lascia ad essiccare a temperatura ambiente per il tempo necessario perché diventi sufficientemente secco e pronto per essere messo in forno, per essere cotto e trasformarsi così nel “biscotto” da smaltare. Nella fase finale della creazione dell’oggetto in ceramica, una volta cotto e smaltato si procede alla pittura seguendo o un disegno appositamente studiato per un progetto preciso o scegliendo i decori tradizionali del paese. I colori di quella che è divenuta ormai la tradizionale “Tavolozza Castellana” sono fondamentalmente cinque: il blu cobalto, il giallo antimonio, il verde ramina, il bruno manganese e l’arancio castelli. I pennelli fatti con peli di animali erano anch’essi realizzati dagli artigiani. Una volta decorati i pezzi venivano sottoposti a una seconda cottura all’interno del cosiddetto “forno a respiro” di invenzione castellana. Il decoro risale a fine ‘600, quando C. Antonio Grue, come detto sopra, si dedicò allo studio del paesaggio, che divenne un tema dominante nella maiolica castellana, nei secoli successivi importanti artisti hanno ripreso lo stesso tema rendendolo più prezioso con inserti in oro. Ancora oggi il decoro a paesaggio fa parte del repertorio decorativo tradizionale.
La placca in esame si distingue per una particolare lucentezza degli smalti dai tradizionali colori sgargianti. Essa, di forma rettangolare, risulta incorniciata da un sottile profilo dorato. L’iconografia di tale maiolica appartiene al repertorio decorativo tradizionale del paesaggio e dal modo in cui si presenta, strutturata con diversi piani di prospettiva, ricorda la scenografia delle quinte di teatro. La raffigurazione consiste in un tema mitologico. Sullo sfondo, lateralmente a sinistra, si intravedono dei monti, più avanti, in secondo piano, due cavalieri duellano sulle rive del fossato che scorre lungo la cinta muraria della città. In primo piano, vicino al ponte che attraversa il fossato, davanti all’arco della porta principale della città retrostante, si trova il gruppo di personaggi principali, protagonisti di tale episodio: un gruppo di soldati con armature da antichi romani, vesti drappeggiate, elmi piumati ed armati di alabarde che impediscono il passaggio ad un vecchio re accompagnato da due servitori che sembrerebbe tengano in mano un ciuffo di paglia l’uno ed una pietra l’altro. L’anziano re prega per ottenere il permesso di entrare nella città che si estende sul lato destro dell’immagine e che risulta contraddistinta da una tipica architettura antico-romana con archi, edicole sulle finestre, colonne, cornicioni e timpani, ma anche da un’architettura medievale con merli sulle mura e torri difensive d’avvistamento. Da una delle torri di controllo si sporge un nunzio che con la tromba avverte dell’arrivo degli ospiti alle porte della città.
La “porta” nella Bibbia, nell’Antico Testamento è simbolo di autorità e di potere, ma lo è in tutta la cultura Ebraica del Medio Oriente, dove abbiamo sempre questi anziani che stavano alle porte della città. Delle persone stavano sempre alle porte della città che simboleggiava l’entrata e l’uscire, simbolo anche del commercio, la porta della città era molto importante, era simbolo di potere, se la porta rimaneva chiusa era chiaro che nessuno poteva entrare nella città. Noi sappiamo che le città erano circondate dalle mura e in queste mura c’erano diverse porte d’entrata. La porta era simbolo di autorità e potere. Chi controllava queste porte aveva l’autorità di aprire o non aprire la porta. Chi controlla queste porte poteva far entrare o far uscire. La ricchezza e precisione dei dettagli rendono tale capolavoro degno di collezioni illustri e dei musei più prestigiosi a livello nazionale ed internazionale. Le condizioni di conservazione dell’oggetto risultano essere perfette.