Giovanni Brina
San Felice a Ema/Firenze 1534 – Pisa 1599
Materiale: Olio su tavola
Misure: 125 x 85 cm
SCHEDA CRITICA A CURA DEL PROF. SANDRO BELLESI
Il dipinto, in buone condizioni conservative, presenta, all’interno di un piccolo ambiente abitativo aperto su un terrazzo piastrellato da mattonelle brune e mogano e da un parapetto merlato, la scena dell’Annunciazione, ovvero il momento nel quale l’Arcangelo Gabriele inviato da Dio Padre sulla terra rivela a Maria l’imminente incarnazione, nel grembo di questa, del Figlio di Dio.
La posa a la tipologia dei due protagonisti dell’opera risultano, a un riscontro analitico, un’originale rivisitazione di un noto affresco trecentesco, riferito dalla critica contemporanea alla Scuola dell’Orcagna, conservato nel santuario servita della Santissima Annunziata a Firenze. L’antico affresco, ritenuto miracoloso, ed eseguito seconda la tradizione da «mano divina», fu oggetto nel corso dei secoli di venerazione e da questo furono tratte rielaborazioni personalizzate, di varia epoca, omaggianti l’intera composizione o, individualmente, le immagini dei due protagonisti, l’Angelo e la Vergine. Particolarmente apprezzate e diffuse in età post-contriformata le due figure, sprigionanti sacrale e devota umiltà, furono protagoniste, tra la fine del Cinquecento e il Seicento, di numerose opere fiorentine, che, legate per lo più a artisti del calibro di Carlo Dolci e di altri comprimari della pittura toscana di età barocca, giunsero ben oltre i confini italiani, come testimonia, tra gli esempi più noti, la bellissima tela conservata nella Cattedrale di Zamość in Polonia. Il successo riscosso dall’immagine miracolosa, sopravvissuto nel corso del tempo, ebbe riscontri non solo nel campo della pittura ma anche in quello delle arti applicate, come testimoniano, paradigmaticamente, alcuni mosaici o rilievi in pietre dure realizzati nel primo
Settecento all’interno delle Botteghe Granducali, tra i quali merita di essere ricordata, per gli apprezzamenti ottenuti, la raffinatissima placca da parete donata nel 1720 da Cosimo III de’ Medici alla margravia Augusta Sibilla di Baden, oggi conservata nel Badisches Landesmuseum a Karlsruhe.
Riferibile alla scuola fiorentina della seconda metà del Cinquecento, la tavola in esame, che riprende modelli tipologici e stilistici tipici della pittura locale di quel tempo, mostra dati di estrema originalità e raffinatezza inventiva soprattutto nella definizione dei volti della Madonna e dell’Angelo, dai lineamenti perfetti improntati su una ricerca edonistica dal naturale, e nell’assetto scenografico dell’insieme, descritto con indubbia attenzione spaziale.
Un’attenta lettura artistica consente di assegnare la tavola, frutto di un eclettico e raffinato linguaggio culturale nel quale confluiscono varie tendenze pittoriche, al catalogo di Giovanni Brina, artista più che degno di interesse, la cui personalità è stato oggetto di studi condotti soprattutto in tempi recenti.
Originario di San Felice a Ema dove nacque nel 1534, Giovanni Brina, fratello del più noto Francesco, si trasferì giovanissimo con la famiglia a Firenze, dove, alcuni anni più tardi fu introdotto allo studio della pittura dapprima nella scuola di Ridolfo del Ghirlandaio e poi in quella di Michele Tosini, meglio noto come Michele di Ridolfo del Ghirlandaio. Grazie a questi maestri, il giovane Giovanni, iscrittosi nel 1559 all’Arte dei Medici e degli Speziali e poi nel 1563 alla neo-istituita Accademia del Disegno, dette il via alle sue prime opere, legate spesso a cantieri artistici nei quali confluivano vari pittori. Risale al 1561 la sua prima opera certa, la decorazione ad affresco della cappella nella Villa Strozzi a Caserotta (San Casciano Val di Pesa), al quale ne seguirono altre nello stesso decennio destinate, essenzialmente, a luoghi di culto di Montevarchi, Bibbiena, Borgo San Lorenzo e San Gimignano. Nel corso degli anni Sessanta aprì bottega insieme al fratello Francesco a Firenze, dove lavorò alacremente soprattutto per il contado toscano. Rare risultano in effetti, ad un vaglio documentario oggi noto, le commissioni per chiese o conventi fiorentini, tra i quali figurano o figuravano dipinti destinati a San Salvatore in Ognissanti e a San Domenico al Maglio. Ricca risulta, all’interno della produzione di Brina, la realizzazione di dipinti su tavola o su tela di singole immagini sacre destinate alla devozione domestica, soprattutto raffigurazioni del Redentore, e di ritratti raffiguranti, tra gli altri, personaggi della casa granducale medicea. Nel 1575 si sposò con Francesca Pagliauoli, che morendo pochi anni più dette a lui un figlio, e nel 1582 contrasse un secondo matrimonio con Lucrezia Cavalcantini. Insieme a una ricca produzione per privati, l’artista lavorò intensamente, nel corso degli anni Ottanta, per la Valdinievole, dove lasciò varie pale d’altare soprattutto in alcune chiese di Buggiano. Ormai avanti negli anni, Brina si trasferì dopo il 1595 a Pisa, città dove viveva la sorella Santa e la sua famiglia. Stando ai memoriali documentari e alle fonti biografiche, l’artista morì a Pisa tra il 1598 e il 1599 (per una traccia biografica e critica sul pittore si veda soprattutto A. Nesi – C. Lusvardi, Giovanni Brina. Cristo e la Samaritana al pozzo, Firenze, 2016, pp. 1-6; con bibliografia precedente).
L’opera, strettamente affine a modelli tipologici umani ricorrenti nell’attività del fratello Francesco come indica ad esempio il confronto con alcune figure presenti nella Deposizione con i santi Margherita e Lorenzo di ubicazione sconosciuta (si veda A. Bliznukov, Per Francesco e Giovanni Brina in «Paragone», 2004, 54, pp. 52- 53 e tav. 52), mostra caratteri lessicali riscontrabili soprattutto in opere di Giovanni Brina come le due pale con la Madonna del Rosario e la Madonna con Gesù Bambino e quattro santi, conservate nella Badia di Santa Maria a Buggiano e datate 1580 (A. Nesi, Giovanni Brina in Valdinievole in «Nebulae», 1999, 4, pp. 6-7), pitture affini al nostro esemplare, oltre nelle sigle figurative, nella resa ondeggiante dei panni delle vesti e nella definizione pittorica accentuata da pennellate insistenti nelle linee di contorno.