Scene di caccia di Tempesta



Antonio Tempesta

Firenze, 1555 ca. – Roma, 1630

Caccia al cinghiale

Caccia al cervo

Materiale: Olio su tela

Misure: 96 x 85 cm

Scheda critica a cura del prof. sandro bellesi

Le opere, in perfetto stato di conservazione e adornate con splendide cornici d’epoca in legno dorato costituite da elaborate volute intrecciate, presentano due giocosi episodi venatori, ricchi di personaggi digradanti scenograficamente dal primo piano verso lo sfondo, ambientati in ameni paesaggi silvestri con ampie radure, piccoli corsi d’acqua e alberi carichi di fronde svettanti verso cieli glauchi solcati da soffici nubi perlacee. Apprezzabili per la gagliardia delle tinte non prive di preziosi effetti di smalto e per la vivacità descrittiva dei personaggi e degli animali, i due dipinti mostrano schemi compositivi simili, formulati, secondo codici pittorici tradizionali relativi a dipinti nati in coppia, perfettamente in controparte.

Un giovane uomo con folti baffi sostenente un falcone e una graziosa figura muliebre disposti su cavalli in compagnia di un servitore con alcuni cani introducono alla lettura del primo dipinto, movimentato, al centro della scena e nello sfondo, da gruppi di cacciatori a piedi e a cavallo. Descritti in pose frenetiche ricche di energia ed espressività, questi ultimi, accompagnati da cani feroci risultano impegnati nella caccia ad alcuni cinghiali, che, illustrati in parte con caratteri morfologici fantastici, tendono a comparare, illusionisticamente e quasi per magia, uno degli animali assaliti, ovvero quello in primo piano, a una sorta di ibrido animale dai tratti bizzarri evocanti un lupo.

Simile ma non identico al quadro appena illustrato, il secondo dipinto introduce la lettura della scena, che si sviluppa da destra verso sinistra, attraverso un gruppo di personaggi in primo piano. Poco distante da un uomo con una lancia, effigiato con la testa rivolta empaticamente verso l’esterno e quasi comunicante con ideali interlocutori, è rappresentato un piccolo assembramento di nobili che assistono alla caccia, tra i quali una donna seduta, dietro la quale compare un servitore con un parasole per proteggere quest’ultima dai temibili raggi solari. Oltre a questo gruppo, tutt’altro che assorto dall’impresa venatoria che si svolge poco distante, compare, al centro e nello sfondo, una cruenta caccia ad alcuni cervi, assaliti, come nel dipinto precedente, da una muta di cani inferociti. Ampio risalto, anche in questo caso, viene dato al paesaggio, illustrato in prossimità di un lago o di un ampio fiume dalle placide acque cerulee dai toni cristallini.

In base a un’analitica ricerca iconografica e stilistica è possibile rilevare la dipendenza delle opere da due incisioni autografe di Antonio Tempesta, una delle quali nata all’interno di una serie con scene di caccia (cfr. E. Leuschner, Antonio Tempesta. Ein Bahnbrecher des römischen Barock und seine europäische Wirkung, Petersberg, 2005, p. 411; con bibliografia precedente) e l’altra nota in fogli sciolti (tra questi un esemplare risulta conservato presso la Civica Raccolta di Incisioni Serrone nella Villa Reale a Monza).

Molto lodato ai suoi tempi dai critici letterari e dai più fini collezionisti di opere d’arte, Antonio Tempesta, nato a Firenze intorno al 1555, fu indirizzato allo studio della pittura nell’atelier di Giovanni Stradano e nel 1576 si immatricolò all’Accademia del Disegno. In seguito al trasferimento a Roma, avvenuto intorno al 1580, l’artista dette il via a un’intensa attività, indirizzata, in un primo tempo, soprattutto alla realizzazione di pitture ad affresco commissionate da papa Gregorio XIII per alcuni ambienti vaticani ed edifici di culto cittadini. Dal 1589 l’artista iniziò a dedicarsi con successo all’esecuzione di incisioni, campo nel quale rivestì, nel corso degli anni, un ruolo preminente in ambito europeo. Figura di punta della pittura nell’Urbe nel primo Seicento, Tempesta, noto anche per l’esecuzione di dipinti da stanza dedicati a scene di caccia o a battaglie e per suggestivi quadretti su pietra con scene sacre e profane, mantenne sempre saldi i rapporti con Firenze, come testimoniano, significativamente, opere eseguite per le collezioni medicee e per la chiesa di Santa Felicita. Dopo anni di successi, Tempesta morì a Roma nel 1630 (per l’artista si veda soprattutto F. Borroni, Antonio Tempesta Incisore, in «La bibliofilia», 1950, 2, pp. 241-263; A. Cecchi in Il Seicento Fiorentino. Biografie, catalogo della mostra, Firenze, 1986, pp. 174-176 e per studi più recenti sull’artista cfr. E. Leuschner, Antonio Tempesta, op. cit., 2005).

Le due pitture, documentate ab antiquo nella collezione Strozzi a Firenze e per lungo tempo rimaste inedite, risultano apparse sul mercato antiquario toscano nel 1983, anno nel quale, riferite genericamente a Scuola Fiamminga della fine del XVI secolo, furono vendute all’incanto presso la Casa d’Aste Pandolfini (Vendita all’Asta di Antiquariato

appartenente alla Eredità Giacente M.se Uberto Strozzi Sacrati ordinata dal Pretore di Firenze, Firenze, Casa d’Aste Pandolfini, 4 ottobre 1983, lotto n. 188).

Gli stretti legami tra Tempesta e la famiglia Strozzi, in particolare con Piero Segretario Personale di papa Paolo V (come si evince da una targa cartacea incisa dall’artista a Roma e dedicata al nobile fiorentino), consentono di ritenere i due dipinti autografi di Antonio, e non semplicemente delle derivazioni pittoriche cinque-seicentesche di altra mano. L’importanza di queste, oltre ad essere attestata dall’antica appartenenza a una delle più prestigiose quadrerie fiorentine, è sottolineata in modo paradigmatico dall’esclusiva raffinatezza delle due cornici, commissionate, sicuramente, per dipinti importanti.  

Databili al primissimo Seicento, tempo nel quale Piero Strozzi rivestì l’incarico di segretario personale del papa presso la Santa Sede e dovette stringere i rapporti con Antonio Tempesta, le due opere, nelle quali risultano evidenti echi compositivi e tipologici derivati dalle opere di Giovanni Stradano e da quelle di altri pittori attivi a Firenze allo scorcio del Cinquecento, mostrano nella briosità delle scene analogie stringenti con varie scene di caccia, dipinte o incise dal nostro artista, tra le quali meritano di essere ricordate, per maggiori pertinenze lessicali, una bella tela a monocromo con la Caccia al cervo e al cinghiale apparsa in tempi recenti presso la Casa d’Aste Cambi a Genova (Dipinti Antichi, Genova, Cambi, 17 maggio 2017, lotto n. 316) e alcune incisioni primo-seicentesche (cfr. E. Leuschner, Antonio Tempesta, op. cit., 2005).

Un’ulteriore conforma per l’assegnazione a Tempesta delle tele in esame consiste nella stretta dipendenza morfologica tra il volto del personaggio effigiato in primo piano con lo sguardo rivolto verso gli astanti, presente in uno dei due dipinti, e la stampa con il ritratto dell’artista, eseguita nel 1621, tratta da un disegno di Ottavio Leoni. Molto più caratterizzato rispetto all’analoga figura presente nell’incisione di riferimento alla quale abbiamo già fatto cenno, questo presenta in effetti una cura morfologica maggiore, tanto da far pensare a un vero e proprio autoritratto dipinto da Tempesta come omaggio all’amico Strozzi.

L’età più giovanile dell’artista presente nel dipinto rispetto alla stampa con il ritratto dello stesso, induce ulteriormente a datare l’opera, come già proposto, ai primi anni del Seicento.

Le opere sono pubblicate sul libro “pittura e scultura a Firenze (secoli XVI-XIX)” di Sandro Bellesi, ed. Polistampa, 2017, pagg. 24-25-26 e sul libro “Regina Belli” di Gherardo Turchi, ed. Tipografia Etrusca, 2017, pag. 68.

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