Ritratto dell’Imperatore Nerone



Scultore romano

Roma, seconda metà del XVIII secolo

Materiale: Marmo bianco su lastra di marmo screziato in cornice dorata

Misure: 75 x 55 cm

scheda critica a cura di gherardo turchi

All’interno di una fascinosa cornice in legno dorato ornata con foglie di quercia e di alloro e sovrastata da un elaborato nastro plissettato e intrecciato, compare, su una lastra levigatissima in marmo screziato dalle tonalità nere e bianche con macchie rosso scuro, il fiero profilo di un personaggio dell’antichità, identificabile, in base alla lettura morfologica del volto e alla disposizione della fitta capigliatura ondulata e della corona radiata, con Nerone, figura storica tra le più problematiche e allo stesso tempo affascinanti della Roma Imperiale.

Quinto imperatore della dinastia Giulio-Claudia, Nerone (37-68 d. C.), il cui nome era in realtà Lucio Domizio Enobarbo, fu il figlio adottivo di Claudio, al quale succedette al trono di Roma nell’anno 54. Al centro di indebiti pregiudizi tramandati dalla letteratura e rispondenti solo in parte a verità, Nerone fu al centro di intrighi e omicidi, come testimoniano, soprattutto, le morti della madre Agrippina e della prima consorte Claudia Ottavia e il suicidio di Seneca, filosofo stoico e suo precettore.

Spietato e sempre in all’erta contro congiure e colpi di stato, Nerone, sposato in seconde e terze nozze con Poppea e Statilia Messalina, fu l’artefice, secondo le fonti storiche, dell’incendio che distrusse il cuore dell’antica Roma, del quale furono accusate, ingiustamente, le prime comunità cristiane residenti nell’Urbe.

Impegnato dopo la distruzione dell’antico centro cittadino nell’edificazione della nuova reggia, ovvero la Domus Aurea, Nerone, ormai poco interessato alla conduzione dello Stato e dedito essenzialmente alle arti e alla musica, fu deposto pochi anni più tardi dal Senato, che nominò in sua vece il generale Galba.

Visto il degenerarsi della situazione, Nerone fu costretto ad allontanarsi dalla Città Eterna e a rifugiarsi in una villa di campagna, dove, ormai abbandonato da tutti, comprese le guardie pretoriane, si dette la morte.

Derivata in gran parte dall’immagine di Nerone tramandata in un dupondio (per una riproduzione fotografica di questo, databile al 64 d.C., si veda M. Ranieri Panetta, Nerone il principe rosso, Toledo, 1999, p. 124), ovvero una moneta in bronzo utilizzata comunemente nell’antica Roma al tempo della repubblica e in età imperiale, l’opera presenta il personaggio di profilo, tagliato poco sotto l’altezza del collo, con il volto carnoso caratterizzato da tratti prevalentemente regolari, incorniciati da una folta chioma sopra la quale svetta, prorompente, la corona radiata. Quest’ultima si lega in effetti strettamente a Nerone, il primo imperatore a usarla in sostituzione di quella costituita da un serto in oro di foglie di alloro, meglio nota come corona laureata, usata da tutti i suoi predecessori.

In base ai caratteri di stile e ai tratti distintivi della figura appare appropriato collocare l’esecuzione dell’opera nell’ambito della scultura romana degli anni sessanta o settanta del XVIII secolo, nella cerchia gravitante, con probabilità, intorno a Bartolomeo Cavaceppi (Roma, 1715-1717 ca – 1799), artista molto rinomato ai suoi tempi nel campo del restauro dei marmi antichi e nella realizzazione di copie o rivisitazioni personalizzate di sculture di epoca greco-romana.

Oltre che nell’esecuzione di statue, Cavaceppi come molti altri scultori a lui contemporanei operanti soprattutto a Roma e a Firenze, si dovette distinguere, sulla traccia delle committenze del tempo, anche per l’esecuzione di rilievi con le effigi di imperatori antichi, molto apprezzati, oltre che per l’arredo di palazzi e ville nobiliari italiane, da molti lords anglosassoni, avidamente alla ricerca, per le proprie collezioni, di marmi o bronzi derivati o copiati da noti prototipi archeologici. Molti scultori inglesi giunsero inoltre, e in effetti, in Italia proprio per copiare opere importanti dell’antichità, poi destinate come arredo di ville e giardini patrizi in Gran Bretagna.

Eseguito prima della svolta neo-classica, manifestatasi prudentemente a Roma già dalla fine degli anni settanta del Settecento, l’opera concilia, con studiata eleganza, il richiamo all’arte antica con la magnificenza rocaille, come indicano, paradigmaticamente, l’attenzione riservata alla descrizione del ritratto dell’imperatore, mutuato come abbiamo indicato da una moneta antica, e l’effetto cromatico e ridondante suggerito dalla lastra in marmo screziata e dalla fastosa cornice dorata.

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