Satiro con capretto sulle spalle



Isidoro Franchi

Carrara 1660 – Firenze 1720

Materiale: Marmo bianco

Misure: Altezza 132 cm

Scheda critica a cura del prof. Sandro Bellesi

Nel 1676 in occasione di alcuni scavi effettuati nei pressi di Santa Maria alla Vallicella a Roma, altrimenti nota come Chiesa Nuova, fu riportato alla luce, come trascritto puntualmente in un memoriale stilato dai monaci oratoriani, un “torso di una statua rappresentante un satiretto senza braccia, e senza un piede, il quale fu venduto alla maestà della regina di Svezia” (A.M. Corbo, Apertura di una strada alla Chiesa Nuova nel 1673: Ritrovamenti archeologici e polemiche in “Commentari”, 1972, pp. 181, 184).

L’opera, raffigurante più precisamente un satire con un capretto sulle spalle, fu subito consegnata, dopo l’acquisto da parte della regina Cristina di Svezia da tempo residente nell’Urbe, a Ercole Ferrata, già allievo e collaboratore di Gianlorenzo Bernini e Alessandro Algardi, autore di opere pregevoli di sua invenzione, nonché abile restauratore di marmi antichi.

Ferrata, da esperto restauratore, fu in grado, nel giro di poco tempo, di realizzare un’opera più che degna di nota, apprezzatissima anche per la sapiente integrazione dei brani eseguiti ex-novo, perfettamente armonizzati con il frammento antico.

Giunta dopo vari passaggi di proprietà nel 1724 nelle collezioni reali di Carlo V di Spagna a Madrid, la statua fu oggetto a Roma, dopo il restauro effettuato da Ferrata, di studi da parte di vari scultori operanti in quel tempo, alcuni dei quali autori di copie più o meno fedeli, tra le quali ricordiamo, come primizia, una versione scolpita tra il 1685 e il 1686 da Anselme Flamen per la reggia di Versailles (Correspondance des directeurs de l’Académie de France à Rome avec les Surintendants des Bâtiments, a cura di A.  de Montaiglon, 18 voll., Paris, 1887-1912, VII, p. 59).

Insieme a copie fedeli dall’originale furono tratte a Firenze, più o meno allo scadere dello stesso secolo, versioni in marmo di formato più piccolo e apprezzate derivazioni in bronzo, ovvero un marmo eseguito da Isidoro Franchi per Chatsworth nel Derbyshire (F. Haskell – N. Penny, L’antico nella storia del gusto.

La seduzione della scultura classica. 1500-1900, ed. italiana, Torino, 1984, p. 293) e alcune riduzioni metalliche fuse da Giuseppe Piamontini, una delle quali realizzata per il Gran Principe Ferdinando de’ Medici, oggi conservata nel Museo Nazionale del Bargello (S. Bellesi in Plasmato dal fuoco. La scultura in bronzo nella Firenze degli ultimi Medici, catalogo della mostra a cura di E. Schmidt, S. Bellesi e R. Gennaioli, Firenze, Livorno, 2019, pp. 326-327; con bibliografia precedente).

La stretta di vicinanza con la redazione marmorea di Chatsworth, più o meno analoga anche nelle dimensioni (per la riproduzione fotografica di questo esemplare rimandiamo a M. Visonà, Giovanni Battista Foggini e gli altri artisti nella Villa Corsini a Castello in “Rivista d’Arte”, Anno XLII, 1990, p. 177, fig. 25), consente di poter assegnare l’opera in esame allo stesso scultore: Isidoro Franchi.

Originario di Carrara dove nacque con probabilità tra il 1660 e il 1665, l’artista si trasferì in giovane età a Firenze, dove è ricordato per la prima volta nel 1683. Allievo di Giovan Battista Foggini, rinnovatore della scultura toscana in senso barocco, Franchi dette sicuramente inizio a un’attività autonoma a partire dal 1684, anno nel quale si immatricolò all’Accademia del Disegno. Poco dopo il rientro di Anton Francesco Andreozzi in Toscana, avvenuto nel 1686, Franchi diede il via per alcuni anni a un sodalizio artistico con questi, testimoniato soprattutto da alcune statue eseguite entro il 1693 sotto l’egida di Foggini nella Cappella Feroni alla Santissima Annunziata a Firenze.

Dopo la parentesi collaborativa con Andreozzi proseguita a fasi alterne almeno fino ai primi anni del Settecento, Isidoro, autore anche di apprezzate statue in proprio condotte per alcune famiglie patrizie fiorentine, dovette proseguire con alacrità la sua attività, oggi purtroppo difficilmente certificabile a causa dell’esiguità di notizie documentarie.

La stretta adesione ai modelli tipologici fogginiani, unita alla conoscenza dei nuovi linguaggi scultorei fiorentini in età tardobarocca, caratterizza lo stile di Franchi, noto soprattutto per gradevoli statue figurate, destinate in gran parte all’arredo di giardini signorili.

Scarse risultano le notizie sullo scultore dopo i primi anni del Settecento e l’ultima informazione a lui riferibile oggi nota risale al 1720, tempo nel quale il suo nome viene menzionato per l’ultima volta nei registri dell’Accademia del Disegno (per Franchi si veda soprattutto Repertorio della Scultura Fiorentina del Seicento e Settecento, a cura di G. Pratesi con la consulenza scientifica di U. Schlegel e S. Bellesi, 3 voll., Torino, 1993, I, pp. 47-48, 83 e II, figg. 279-281; M. Visonà, Franchi, voce in Dizionario Biografico degli Italiani, L, Roma, 1998, pp. 76-77; S. Bellesi, Studi sulla pittura e sulla scultura del ‘600-‘700 a Firenze, Firenze, 2013, pp. 125-127).

Oltre che per le affinità con il più volte citato Satiro con capretto sulle spalle a Chatsworth, l’opera, databile tra gli ultimi anni del Seicento e i primi del secolo successivo, appare assegnabile a Isidoro Franchi per alcune caratteristiche morfologiche della figura e per la definizione del vello dell’animale condotto a piccole ciocche ondulate.

Tali dati si riscontrano in effetti in varie opere dell’artista, tra le quali ricordiamo, per maggiori pertinenze sintattiche e lessicali, l’Apollo nel giardino del Casino Corsini sul Prato a Firenze (M. Visonà, Giovanni Battista Foggini, op. cit., p. 176 fig. 24) e il Meleagro nella Galleria Gallori Turchi a Firenze (S. Bellesi, Studi, op. cit., p. 127 fig. 2).

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